Maria Grazia Bornigia è sempre stata donna ed artista di grande apertura mentale. Lavorò le sue sculture, quelle di piccole dimensioni e vuote al loro interno, in bronzo e direttamente in cera da fusione (cera perduta), rendendole esemplari unici ed irripetibili, senza possibilità di duplicati, come la vita stessa. Sicuramente questo materiale risultò il migliore per prestarsi a certi contorsionismi di espressione e di forma tipici della sua arte. Particolare era anche l’uso di pezzi meccanici, carburatori, griglie, oggetti di uso comune a cui riusciva a dare le più svariate connotazioni artistiche. Ci regalò inoltre quadri, disegni, sculture, litografie, sceneggiature e molto altro ancora.
LA PITTURA
La pittura di Maria Grazia Bornigia ci appare come il riflesso di un mondo fantastico, popolato da personaggi caratteristici ed affascinanti. Clowns, folletti, animali e vegetali di pura natura immaginale, uomini, donne, bambini di ogni razza ed epoca, figure che a volte sembrano provenire da altre dimensioni per divertire o incutere timore, per dire qualcosa, per lasciare un messaggio.
A ben guardare negli occhi grandi e profondi di quelle figure, di quelle donne dagli abiti elaborati e ricchi di tecnica pittorica, negli sguardi di quei clowns, c'è sempre un fondo di velata tristezza, di profonda malinconia. Un fondo di dolore per l'innocenza di un mondo perduto, un mondo primordiale, perso nei secoli ma rimasto lì, impresso in ognuno di noi come un'impronta nell'anima e nella carne. Un mondo in attesa di pace e quiete d'amore, un mondo di Conoscenza ormai perduto.
Figure che sembrano provenire da un sogno che freme per la necessità di divenire reale. Per questo motivo la sua pittura si può ben denominare come Maria Grazia Bornigia stessa fece: “Realismo Onirico”.
Qualcosa che vive sulla linea di confine fra sogno, sonno e veglia: come quando nei sogni si sentono arrivare strani messaggi, incomprensibili al momento, che si rivelano poi nel tempo molto chiari e precisi, tanto da farci comprendere come in fondo tutto fosse già detto dentro di noi. Bisognava solo saper ascoltare!
La natura nella sua pittura è un'esplosione di ricchezza e gioia, di colori, di rossi, di gialli, blu, turchesi, viola, azzurri, bianchi, verdi, arancioni: di tutti i colori che la natura stessa ci fornisce e che l’Artista insegue col suo pennello. A volte persi in una magica luce azzurra che si fonde nei mille fiori colorati, nelle piante che sembrano assumere sguardi umani, nei ruscelli d'acqua e nelle corse dei cavalli o degli animali che inevitabilmente ci appartengono: tutto sembra ricordare la nostra appartenenza a un principio fondamentale che travalica differenze di classe, razza, sesso, condizione sociale. Unica difesa all’inevitabile distruzione e dolore.
Ed è proprio quando giriamo nelle nostre grigie città sempre più fumose e inquinate che viene la voglia, con un piccolo salto di fantasia, di entrare in quei quadri e girare in quegli scenari da sogno. Farsi una bella passeggiata! Respirare quella magica atmosfera, perdersi in quei boschi, incontrare quei personaggi misteriosi e conversare con loro.
O forse, solo osservarli più da vicino ed ascoltare nel loro silenzio il loro piccolo, grande messaggio.
A noi la scelta.
Nella innumerevole produzione di Maria Grazia Bornigia, ogni quadro racconta non una, ma decine di storie diverse. La ricchezza dei particolari, dove in ogni angolo si può scoprire una sorpresa, ci consente davvero di poter ammirare tali opere nel tempo mentre la fantasia vola e cavalca, magari proprio in sella a uno di quei destrieri volanti, di quei sauri che si incontrano fra le sue nuvole.
Con il ciclo denominato “Vita dell’uomo”, composto da ventuno quadri, Maria Grazia dipinse la vita umana, dalla nascita e l’infanzia a tutte le più importanti tappe dell’esistenza attraverso il tempo, fino all’ultimo quadro, il ciclo che si perpetua nella vita dei figli, senza l’interruzione della morte.
In questi quadri Maria Grazia si confronta con i grandi Temi, dal Diluvio universale all’Ultima Cena, da Adamo ed Eva alla conquista della Luna.
Il percorso attraverso case di cura e momenti di guerra e disperazione, approda a un senso di serenità ultima, inevitabile meta del percorso umano, dove ogni essere si può riconoscere specchiandosi nell’altro come in sé stesso. E forse quei clowns tanto amati dall’Artista sono l’emblema significativo di maschere e nudità, di gioia mista a tristezza, che simboleggiano dei protagonisti a tutto tondo, dei protagonisti speciali come speciale è la vita che ci è stata donata.
Ricorrente tema di fondo è sempre stato il desiderio profondo, coltivato e vissuto da Maria Grazia Bornigia, di una maggiore comprensione e coesione sociale e razziale tra genti diverse: dagli imperatori africani ai suonatori andini, costumi cinesi e folletti irlandesi, letterati francesi e cavalieri medievali… figure create dall’immaginazione dell’Artista impastate a quelle reali, impresse nell’immaginario collettivo.
Nei quadri di Maria Grazia Bornigia sono spesso citati personaggi storici, attori, politici, cantanti, volti e simboli di una storia che muore a se stessa nel farsi colore, armonia di forme cromatiche.
L’arte può mutare e può aiutare l’equilibrio sconvolto, precario della realtà e riportarlo al quieto scorrere, alla vera “norma” di naturale armonia. Ecco dunque questa natura colorata, questa fuga dalle grigie griglie delle città che impegnò tutta la produzione artistica di Maria Grazia Bornigia: un desiderio profondo di fuggire dai grandi agglomerati urbani verso la serenità della natura. Una natura anche ferita, che interessi economici e incoscienti ignoranze continuamente offendono oggi come trenta anni fa, vista dall’Artista come un’ultima sponda, un approdo di salvezza in un’epoca di burrasca.
Duemila anni fa Ovidio, nelle sue “Metamorfosi”, ammoniva:
“Se i mari, se le terre, se la reggia del cielo periscono, ci sommergiamo nell’antico caos.”
In queste parole Maria Grazia Bornigia trovò riscontro a molte sue paure e fu suo impegno contrastarle con le “armi della pittura”, con un messaggio di speranza, con l’immagine di un mondo in cui vale la pena vivere e impegnarsi.
LA SCULTURA
La scultura è stata per Maria Grazia Bornigia un “amore a prima vista”, come lei stessa lo descriveva. All'inizio, le sue opere vivono di figure dal tratto semplice, umili testimoni di vita come ad esempio le tante vecchine sedute sulle panchine con lo sguardo focalizzato sul destino inevitabile che si avvicina, commissionate, insieme a due sculture a grandezza naturale, dal mercante d'arte americano Crane Korchin per una collezione ancora esistente in America.
E ancora, la ballerina acrobata o il personaggio dritto con le braccia abbandonate che ha perso speranza: figure che risuonano nell’intimo. Negli anni, la scultura di Maria Grazia Bornigia diventa sempre più complessa e fantasiosa come ad esempio si può riscontrare nei tre clowns batteristi dietro i loro strumenti-carburatori, elaborazioni degne del brevetto del migliore inventore.
L’esplorazione espressiva della tridimensionalità delle forme scultorie rappresenta l’apice della maturità dell’Artista che accoglie nel travaglio delle forme l’Archetipo della sofferenza umana. Sofferenza e dolore come barriere che ostacolano il soave fluire dell’essere nella vita.
Barriere tra l'uomo e lo spazio. Barriere apparentemente esterne ma in realtà profondamente interiori. Barriere, ostacoli alla comprensione, o forse solo semplicemente incapacità ad essere liberi. Barriere e dubbi che portano l’uomo e la donna ad arrovellarsi, a contorcersi, ad arrampicarsi invano contro specchi e montagne. Barriere che creano discontinuità o falsi sogni, come quelli di Don Chisciotte, partito contro i suoi mulini a vento.
Ostacoli che si frappongono alla piena realizzazione dell’essere umano. Barriere che l'uomo cerca di infrangere, con dolore, con disperazione, o forse solo con rassegnazione o con l’Arte: il clown suona la sua tromba dietro una parete, da cui si apre una piccola finestrella per potere inviare nell'etere il suo suono, l'antico suono primordiale e liberatorio, creatore...
Ecco dunque, fra tanti dubbi, emerge una risposta, una risposta che porta il peso di una lettera maiuscola. Una risposta che risuona in ogni cuore. Come un sasso gettato in uno stagno.
E se la tristezza crea le barriere, erige i dubbi, le perplessità e le angosce, allora saranno i clowns e i folletti, questi messaggeri fantasiosi e quasi inesistenti, a cui spesso non si crede o che si deride, saranno proprio loro a deridere i vincoli e le catene. Basta un salto, un’acrobazia, un gioco e un’abilità al contempo, basta poco. Basta rendersi conto e basta volerlo: un salto e si è fuori. Il clown è libero e ci indica la distanza dai nostri crucci e dai più fugaci attaccamenti, in comunione, questo è certo, con il nostro spirito.
Ed in comunione con la Terra, poiché la barriera si può saltare, si può vivere con un approccio diverso che non sia solo quello della disperazione e della tristezza, ma la barriera resta. Gli agganci della struttura al piedistallo, gli agganci dei personaggi alla grata sono l’ultimo scoglio da superare. Non basta volare, il povero clown non può mettere le ali, perché questo è un sogno: il corpo non può volare.
Ma calato in questo mondo lo spirito può danzare, attaccato alla sua barriera, non più vittima ma acrobata, lo spirito può gioire e scoprire la vita che fiorisce intorno a sé e lo spirito, riconoscendosi, potrà dolcemente abbandonare sostegni e barriere per “volare più alto dell’Aquila verso la libertà”.
DISEGNI E ALTRO
Maria Grazia Bornigia ha inoltre realizzato numerosi disegni, utilizzando varie tecniche, come la china o l'inchiostro, tecniche miste e litografie. Presenti nelle sue prime produzioni anche molti sbalzi, ceselli e disegni su vetro.